Consulenza finanziaria: quanto si è disposti a pagarla?
Il costo è l’unico elemento che gli investitori possono verificare e controllare, ed è il parametro in base al quale prendono le decisioni di acquisto.
Il perno di tutto è che i cittadini sono disposti a pagare solo l’importo che equivale ad un costo ritenuto giusto.
Tale costo non è altro che la differenza tra il prezzo e il valore percepito.
La spiegazione è presto detta: se il valore che il cliente percepisce per il servizio è soddisfacente rispetto al prezzo, allora il costo è corretto. E si decide di comprare.
Effetto MIfid2
Nonostante ritardi e correzioni in corso, con la Mifid 2 finalmente tutti i costi vengono esplicitati, mentre prima erano inclusi nelle commissioni pagate sui prodotti.
E così, il risparmiatore aveva la convinzione di non pagare alcun prezzo per il servizio di consulenza.
Grazie all’introduzione della normativa europea, occorre evidenziare e separare l’importo per il produttore, gestore del fondo, e quello riservato al distributore, ossia l’intermediario che colloca il fondo.
In questo modo, viene fuori in maniera intuitiva anche quale sia il prezzo effettivo del servizio di consulenza.
Esempio: con un Ter (Total Expense Ratio) di portafoglio del 2% un cliente che investe 100.000 euro pagherà 2.000 euro.
Adesso con la Mifid 2 è possibile capire come sono distribuiti i costi nel servizio di consulenza.
Alcune indagini assegnano alle “fabbriche prodotto” tra il 30% e il 40% dei costi sostenuti dai clienti, mentre alla distribuzione va una quota dal 60% al 70%, di cui meno di 1/3 è riconosciuta al consulente (circa il 20% di quanto paga il cliente).
Se prima tutto era nascosto nel prezzo dei prodotti, adesso il risparmiatore ha la possibilità di confrontare il valore percepito per ogni singola componente del servizio di consulenza, con il relativo costo sostenuto.
E su tale confronto prenderà le sue decisioni di acquisto.
Quindi il consulente deve essere in grado di comunicare il valore della sua attività (20% pagato/valore consulenza), ma lo stesso discorso vale per le società prodotto (30% vs valore gestione) e gli intermediari per i costi di distribuzione (50% vs qualità servizio).
“il consulente non deve vendere `prodotti ma deve essere il coach finanziario del suo cliente.”
Il valore percepito per il consulente
Se un consulente vende portafogli, solo 2 clienti su 10 sono disponibili a pagare la sua consulenza.
Se il consulente lavora sul futuro delle persone, ascolta e aiuta i clienti a disegnare scenari futuri per metterne in sicurezza il patrimonio finanziario, 8 clienti su 10 sono disponibili a pagare la sua consulenza.
Per aumentare il proprio valore percepito e, quindi fidelizzare il cliente, il consulente non deve vendere `prodotti ma deve essere il coach finanziario del suo cliente.
Resta da chiarire per il professionista, se il suo ruolo vale solo il 20% di quello che paga il cliente.
A nostro giudizio vale molto di più, soprattutto se agisce nel miglior interesse del cliente e pianifica gli obiettivi di vita dei suoi clienti.
Valore percepito per il gestore
I fondi venduti in Italia sono tra i più costosi in Europa e anche in questo caso i costi verranno valutati in base al valore percepito, considerando che solo il 25% dei fondi a gestione attiva supera la loro controparte passiva.
Il nodo fondamentale per le società di gestione è quello di garantire prodotti di investimento con il miglior rapporto qualità/costo, utili per costruire un portafoglio in linea con il profilo di rischio e gli obiettivi del cliente stesso.
E in questo caso il costo è l’unico elemento che gli investitori possono controllare, a differenza delle condizioni dei mercati finanziari e del rendimento dei prodotti che per loro natura sono incerti.
Valore percepito per il distributore
Per gli intermediari finanziari il discorso è più complesso, in quanto, per decenni hanno beneficiato della cosiddetta asimmetria informativa nei confronti dei clienti, utilizzata per distribuire prodotti con un costo decisamente superiore al valore del servizio fornito.
Con l’ informativa sui costi imposta dalla Mifid2 e l’effetto disruption della tecnologia, la rendita di posizione degli intermediari è destinata a scomparire, se non saranno in grado di servire un cliente sempre più informato, digitale e multicanale.
Il valore percepito del servizio di consulenza si sposta dalla vendita dei prodotti al processo di pianificazione finanziaria, dove il ruolo del consulente resta determinante rispetto alla semplice transazione di acquisito di un prodotto finanziario.
Il cliente è disponibile a pagare se percepisce valore nel processo di pianificazione finanziaria mentre i prodotti diventeranno strumenti da acquistare tramite piattaforme tecnologiche con margini sempre più bassi e senza incentivi per la distribuzione.
In conclusione, con la Mifid2 e il Fintech, toccherà a tutti esplicitare il proprio valore per giustificare i costi della consulenza
E per tutti vale la regola: compro solo se il Valore Percepito > Prezzo.
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